Roberto Innocenti
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Da "L'isola delle parole"

“Mi scusi operatore!” intervenne vocalmente il computer. Il giovanotto che premeva i tasti componendo una fitta serie di piccoli segni sullo schermo, trasalì. Nel libretto d’istruzioni non compariva nessuna capacità vocale del computer grafico, né lui l’aveva richiesta.
“Lei sta componendo delle pagine di testo per un libro destinato a una fascia di lettori di livello piuttosto alto, non solo per la loro passione o interesse alla lettura, fatto di per sé lodevole, ma anche come ceto.”
L’operatore si voltò per accertarsi che la voce non provenisse da qualche altra parte, o dal televi-sore rimasto acceso.
“Infatti,” riprese il computer, “proprio ieri ha composto il retro della sovraccoperta dove, dal codice a barre, ho rilevato che il prezzo del volume è piuttosto elevato, quindi non destinato a studenti o intellettuali, come dire, ricchi di interessi ma non di mezzi, bensì a lettori di solida tradizione, o almeno con pretese di mostrare una biblioteca rappresentativa e non apparire parvenus. ”
L’operatore, non senza titubanza, provò a vedere che effetto avrebbe fatto la sua voce in una imprevista e improbabile conversazione.
“Ma.... parlo con il mio computer?”
“In verità finora lei è stato zitto, ero io che parlavo.”
Nel libretto di istruzioni non compariva questa capacità di interloquire col suo nuovo computer grafico, e il prezzo portava a escluderlo.
“ Allora... mi ...mi...dica.”
“Vedo che usa caratteri di composizione Aster. Alto e basso, chiaro, tondo.”
“Ah, ...sssì. C’è qualcosa di sbagliato?”
“Senta, prima devo spiegarle qualcosa, mi stia bene a sentire. Il computer è l’ultimo barbaro arrivato, pieno di potenzialità, ma vuoto di conoscenza, ed è diventato merce prima di possedere ciò che dovrebbe essere indispensabile se utilizzato da operatori ignoranti: conoscere le cose di cui deve occuparsi per fornire dati e soluzioni. Con i programmali, gli archivini che ci mettete dentro, sommati a una certa incompetenza, pretendete da chi ha appena appreso lo stretto indispensabile di ottenere risultati perfetti o verità assolute? Non si accorge, dallo spazio che lascio fra la T maiuscola e la vocale seguente, che si comporta come se avessi i caratteri di piombo, quelli antidiluviani? Almeno nei titoli le avvicini!
“Oh... guarda. Ma... è importante?”
“Lei sa cosa sono le righe e i punti?”
“...?”
“Il corpo di un carattere non si misura sulla maiuscola, in millimetri, come ha fatto lei. Nelle sue misure è compreso lo spazio fra lettera e lettera e quello fra riga e riga; e siccome l’occhio dei tipi varia in ogni alfabeto, o cassa, è tanto più corretto, facile e comodo stabilire il corpo in punti.
I millimetri che lei ha letto sul programma sono la traduzione pratica dell’ingombro di questo carattere, e corrispondono all’incirca, ma non esattamente, al corpo 12”.
“Io lo so cosa sono i righi e le punte, ma preferisco usare i millimetri, ecco, per...”
Non aveva ancora finito di pronunciare le ultime parole che il suo naso prese ad allungarsi, “...per praticità.”
“Ora mi lasci dire, che qualcosa ne so di caratteri. L’Aster ha una buona leggibilità, a parità di corpo ha l’occhio più grande di altri caratteri simili, e direi che il corpo 12 per un libro elegante, è un po’ eccessivo. E’ un carattere classico, e questo è giusto, con le grazie, come tutti i “romani”, ma nell’insieme è un po’ statico. Se lei componesse un testo scolastico direi, va bene, può andare. Ma per una lettura riflessiva, colta, senza fretta, in un luogo tranquillo, in uno studio, al tavolo di una biblioteca, o su una poltrona comoda in giardino, suvvia, l’Aster... E’ come se considerasse il suo lettore un principiante in difficoltà con la lettura...”
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“Che ne direbbe di prestare un po’ della sua attenzione, sul mio catalogo, a un Garamond Simoncini, a un Plantin o a un Baskerville, oppure al Benbo della Mototype?”
“Li avrei senz’altro provati tutti prima di decidere quali usare; che ci vuole: basta premere un tasto!”
“Va bene, vuol dire che il suo naso lo allungherò in millimetri anziché in punti. Cinquecento le bastano, o vado avanti?”
II giovanotto prima di precipitare nello sgomento, si sentì offeso dalla saccente pignoleria del suo strumento, irritato dalla sua voce suadente e sottilmente beffarda.
“Tu, ...io...., ma perché parlo con te? E’ assurdo...”
“Ma sì, diamoci del tu, visto che dobbiamo lavorare insieme,” riprese implacabile l’apparecchio col suo tono paternalistico.
“Allora ti voglio confidare un segreto: io sono un computer colto e intelligente, di futura generazione, un Ccifgg. Un prototipo camuffato da comune computer grafico, e sono qui per indagare, per capire se gli operatori sono in grado di usarmi come fornitore di servizi anziché in sostituzione del loro cervello; se sono in grado di assorbire le mie competenze senza offendersi, accogliere le mie osservazioni, i miei rilievi sulle loro leggerezze e approssimazioni, per tirare su di livello la grafica mondiale, che guarda caso dalla comparsa del computer, invece di migliorare qualitativamente, grazie alla facilità d’uso e la disponibilità della tecnologia moderna, è dovunque colata a picco, sprofondata nella banalità, nelle inutili complicazioni, persa nella stupida infinita palude degli effetti speciali!.”
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“E tutta uguale! ! !”
L’operatore aveva nel frattempo dovuto retrocedere dallo schermo di un paio di metri almeno, per via della smisurata lunghezza raggiunta dal suo naso e, rosso in viso, con lo sguardo pieno d’odio, mandò indirizzandole al suo dotto e altezzoso interlocutore una sequela di offese tali da non potersi riferire.
“Bravo figliolo, continua così che vai bene. Continua a battere sei caratteri mescolati in una sola pagina; a sbatterci sotto le ombrettine, a metterli in prospettiva con lo spessore metallizzato, 
caratteri similseri e caratteri da Luna park, insieme scritte rosse su fondo azzurro, per dimostrare che te ne infischi anche dei colori complementari, perché sei moderno, a combinare orge fra i colori invece che accostamenti, e poi chiamala ‘grafica’, ‘pubblicità’ come ti pare. Ma dove credi di arrivare se hai venduto l’abbecedario in cambio d’un biglietto da circo?”
“Continua a usare i tuoi dischetti con i caratteri buoni a malapena per i geometri, copiati male e perfino deformati per non pagare le royalties e che chiami con nomi di fantasia, come se Haas, Lubalin, Bodoni, Simoncini e Noorda non fossero mai esistiti. La grafica non sarà una scienza, ma affonda le sue radici nella storia, nel costume, nell’evoluzione umana, e si basa sulla matematica, sui ragionamenti logici. E tu, presumi di affidarti a che cosa? Al tuo innato buon gusto?” “Ma tu ... chi sei tu... Chi ti credi di essere, tu... tu, io...”
E la voce tornando a un tono dimesso, riprese con un sospiro: “Sono io, il tuo babbo, figliolo, non mi riconosci? Cerca di darmi retta, qualche volta, che parlo per il tuo bene...”
“Non è vero ora ti riconosco! Tu... tu sei il Grillo parlante!”
E ciò detto afferrò un pesante martello lasciato sul davanzale dall’installatore dell’antenna  satellitare, lo lanciò con quanta forza aveva contro il video, frantumandolo.
Il naso dell’operatore fu riportato alle sue dimensioni naturali da un chirurgo plastico, che fu poi ripagato con una decina di anni di pubblicità gratuita per la sua clinica estetica. L’idea di base per la futura campagna (mi scuso per questo termine militare ma i pubblicitari chiamano così le spedizioni per conquistare i nostri cervelli) riscosse subito un grande successo: c’era una ragazza nuda con un metro da sartoria intorno al corpo, che si misurava compiaciuta ora le cosce, per i prodotti anticellulite e per la ginnastica guidata nelle palestre del Professore; ora la vita, sia per le cure dimagranti che per le diete farmaceutiche; e continuava a misurarsi, con-tenta e soddisfatta. Misurava i capelli per lo shampo, e perfi-no il naso, per la pubblicità della Clinica Estetica. L’immagine con le sue mutevoli scritte e varianti di modelle faxsimili sostituite ad ogni comparsa d’ombra di grinza, coprì i muri delle periferie, i pannelli delle stazioni ferroviarie, degli aeroporti, le portiere dei taxi e le fiancate degli autobus, i pavimenti delle farmacie.
Apparve sui pannelli da vetrina, sulle pagine delle riviste e dei giornali, negli spot televisivi, sulle schede telefoniche, al cinema e su Internet. Fu pubblicata anche nelle pagine a pagamento delle migliori pubblicazioni di immagini multimediali, tutte quelle cose che, insomma, a pagamento fanno pubblicità ai pubblicitari.

Roberto Innocenti

Roberto Innocenti ©2014